STORIA

L’Albania si chiamava Illiria. Successivamente, i due nomi, Arberia e Illiria, vennero usati fino al XIV secolo, quando il nome Arberi sostituì definitivamente le due precedenti denominazioni. E’ assai interessante notare come una delle più belle commedie di Shakespeare, La dodicesima notte, sia ambientata in Illiria, paese che la maggior parte dei lettori non sa che si tratti dell’odierna Albania. Non si sa nulla sul significato del nome Illiria. Mentre la parola Albania (Barberai) si spiega con la radice alp, che significa Paese montuoso. Tuttavia, questa è un’etimologia popolare. Secondo il parere degli studiosi è esistita in tempi antichi una tribù di nome Albani che ha dato il nome a tutto il paese. In questa interpretazione non è chiaro come la tribù, senza esercitare alcun ruolo nella storia, sia riuscita a dare il nome al paese sostituendo una parola così radicata come Illiria. Il popolo, però, chiama il proprio paese Shqiperia. Si ritiene che il significato di questo nome sia Paese delle aquile, (shqipe significa aquila); alcuni preferiscono dare al nome il significato di Paese delle rocce (shkemb significa roccia). Entrambe sono etimologie popolari o folkloristiche. Gli studiosi guardano queste interpretazioni con una certa sconsideratezza. Tuttavia, anche se le etimologie popolari non vengono prese in considerazione dal punto di vista filologico, rimangono sempre interessanti e creano spunti per giudizi come anche per pregiudizi. L’Albania è circondata in tre lati da catene montuose quasi insormontabili, che s’innalzano come un muro costruito dalla stessa natura, per mantenere il paese in una condizione d’isolamento. Tale isolamento da un lato ha nuociuto allo sviluppo del commercio e degli scambi sociali, ma dall’altro ha reso più facile al popolo la conservazione della lingua, delle tradizioni e delle peculiarità. Nel passato l’isolamento dell’Albania è stato totale, tanto che nel XVIII secolo, lo storiografo inglese Edward Gibbon scriveva che l’Albania era un paese che si poteva vedere dall’Italia ma che non era conosciuto dall’America, mentre altri chiamavano l’Albania, “Il Tibet dell’Europa”. In una lettera indirizzata a Lord Byron, Shelley cerca di convincerlo a non visitare l’Albania in quanto questo viaggio poteva essere pieno di pericoli. Senza dubbio, i seguenti versi di Byron, tratti da “Child Harold”, rispecchiano le idee di Shelley riguardo l’Albania: Stava partendo verso rive ignote Molti le conoscono, pochi osano visitare. Come sappiamo, Byron non diede ascolto al consiglio e diventò egli stesso uno dei più fedeli amici che l’Albania abbia mai avuto. Alcuni versi di “Child Harold” attirano con forza l’attenzione verso le montagne dell’ Albania, la maggior parte delle quali supera i duemila o i duemila e cinquecento metri di altezza. La loro imponenza ha impressionato talmente tanto il naturalista romano Plinio il Vecchio da spingerlo a scrivere: “esse sono arcuate come un teatro”. La loro imponenza a catena ha dato all’Albania la precisa definizione di “Giardino roccioso dell’Europa Sud-Orientale”. Una montagna albanese, che sia alta o no, è unica per il suo profilo tagliato netto e per come scende a picco sulla terra. Crea l’impressione di trovarsi di fronte a un monumento colossale, costruito dalla stessa natura. Circa cento anni fa il paesaggista Eduard Lear visitò l’Albania ed ecco come descrisse il monte Tomor, il più alto: “La strana forma gigantesca della montagna si eleva con mille precipizi; sembra una fortezza che si innalza sulla pianura con una semplicità maestosa”.

tratto dal libro “Albania orizzonte del Salento” a cura di Najada Myrto

L’ALBANIA, STORIA ANTICA PAESE GIOVANE

In Albania si trovano siti preistorici risalenti al Paleolitico, a Neolitico (6000 a.C.) e all’età del bronzo (2000 a.C.). Le tracce più antiche della vita sul suolo albanese appartengono al medio e tarde paleolitico. Siti preistorici sono ammirabili a Xara (Saranda), a Tren (Koma), a Vela (Valona), come in numerose altre località albanesi Nella zona interna della regione si trovano due antichi megaliti, “La pietra della città” e “La pietra del cielo” (per visite o ulteriori detta gli vedi il capitolo “Patrimonio culturale”) che indicano la presene di insediamenti sparsi e di comunità guerriere associate con le cul ture dell’età neolitica (prima fase dell’agricoltura) e con l’età de bronzo (caratterizzato dall’uso di strumenti più sofisticati nelle atti vità agricole e di guerra). Una decina si secoli prima di Cristo, il territorio dell’odierna Albania è stato abitato da una popolazione agri cola e di pastori, conosciuta con il nome di Illiri, la cui civiltà domi riò per molti secoli tutta l’area balcanica. Il territorio da loro occupato era molto ampio: a Nord arrivava fino al Danubio e a Sud fine all’Epiro, mentre ad Est il confine era segnato dal fiume Moldavar ad Ovest dai mari Adriatico e Jonio. Qualche tribù come i Metapsi e gli Japy si insediarono nella dirimpettaia Magna Grecia. Sulle loro origini esistono due ipotesi diverse: secondo la prima (cara anche ai romantici di “Atheneum”, 1801), gli Illiri sarebbero stati una popolazione autoctona, discendente diretta delle comuni tà sopra citate e avrebbero sviluppato un linguaggio e una cultura che hanno diffuso, durante l’età del bronzo, su tutto il territorio dell’odierna Albania, spostandosi, successivamente, su tutti i Balcani. Secondo l’altra ipotesi, le varie tribù illiriche sarebbero state costituite da gruppi provenienti dalla diaspora conseguente alla cadute della civiltà micenea, che avrebbero invaso l’odierna Albania per espandere poi la propria influenza in tutta la penisola. Gli Illiri erano dunque un popolo omogeneo, formato da varie tribù, seppero con un comune senso di appartenenza al territorio, un comune mito delle origini, una cultura e una storia condivisa? La domanda non riguarda solo questo antico popolo balcanico, ma anche i Celti o altre popolazioni europee. Le conoscenze archeologiche e storiche degli ultimi anni, porterebbero far pensare che in realtà l’immagine unitaria delle culture di questi popoli sia più una costruzione della etnografia storiografica del Settecento (del periodo in cui l’etnografia nasce come disciplina specifica), passata al Romanticismo europeo, che non una precisa connotazione delle civiltà europee antiche. Un quadro più esatto, anche se sempre approssimativo, ci restituisce una realtà formata da un background comune, da miti condivisi, da culti analoghi, ma anche da una forte varietà di usi e costumi e di miti minori. Anche l’uso del termine tribù, per denotare le comunità o le entità territoriali amministrative (regni o città indipendenti che fossero), sembra poco preciso. Gli Illiri probabilmente non ebbero mai confini precisi o una netta e forte demarcazione dalle altre popolazioni. Non svilupparono un definito senso dell’identità per distinguersi dagli altri popoli e neppure una cultura generale attraverso la quale definire se stessi, almeno nel senso che la sociologia storica attribuisce all’identità politico-sociale. Essi, come molti altri popoli antichi, furono piuttosto federazioni culturali all’interno delle quali, su una base comune e su un patrimonio generale condiviso, si innestarono importanti e ricche culture locali organizzate in centri urbani, come Finiq, vicino a Saranda, o Amantia, nel territorio del distretto di Valona. I Liburni, ad esempio, un popolo illirico di cui si sa molto poco, lasciarono una delle rare eredità illiriche alla civiltà romana, la nave liburnia, che fu appunto adottata nella flotta romana come modello di efficienza per velocità e sicurezza di navigazione. Questo popolo fondò con originalità una civiltà o talassocrazia fondata sugli scambi e i commerci, che fiorì nell’Adriatico contemporaneamente a quelle dei Fenici del Mediterraneo meridionale. Riferimenti agli Illiri si trovano nella letteratura ellenica del primo periodo, in Omero ed Esiodo, per esempio. Erodoto li cita in tre occasioni, ma sempre in contesti differenti e senza mai riferirsi alla zona di Valona (nei libri I, 196 e IV, 49; VIII, 131 e IX, 43). Anche Strabone, Appiano e Plinio il Vecchio danno informazioni sulle popolazioni illiriche. L’area di Valona fu, nel mondo illirico sopra definito, una zona di confine con l’Epiro greco e con quello grecizzante, ma la distinzione tra gli Illiri della parte settentrionale della regione e gli epiroti in quella meridionale non era così netta come ci fa credere la letteratura romana da Strabone a Plinio, che tende ad identificare questo territorio, per quanto vasto, con la civiltà ellenica.

Le colonie greche

Dal VII secolo a.C. in poi, le città e i villaggi illirici si trovarono a convivere con molte colonie greche. In tutto il territorio dell’Albania odierna fiorirono città commerciali elleniche. Pochi ricordano che la Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta iniziò a causa del confiltto tra la colonia di Epidamno (Durazzo) e la città fondatrice di Corcira (Corfù), a sua volta colonia di Corinto. Ancora più piccolo è il gruppo di coloro che ricordano che il primo atto di questa guerra, fu l’occupazione da parte dei Corciresi della città di Apollonia, ci sorgeva alla foce del fiume Vjosa e che oggi segna il confine tra Valona e Fier. L’odierna Albania fu, come l’Italia meridionale, un, delle aree di maggiore espansione delle città elleniche. I Greci arrivarono fino a Trieste ed Ancona fu una colonia dorica. Qualche filo, logo sostiene che lo scenario dell’Odissea non sarebbe il Tirreno, ma, l’Adriatico e sono state formulate ipotesi sull’identità dei luoghi del poema omerico. Non è nostra intenzione ripercorrere qui gli avvenimenti più conosciuti di questa lunga colonizzazione. Da un punte di vista storico-antropologico la presenza delle città greche rend, compiuta una caratterizzazione del territorio albanese che, pur nel pieno delle bufere della storia, rimane una delle costanti dell’intero paese, particolarmente visibile nella regione di Valona: l’ambiguità della cultura albanese, che è, contemporaneamente, una delle frontiere più importanti della civilizzazione mediterranea, dettata dagi eventi, e una sorprendente trincea dell’organizzazione sociale primaria di una società agro-pastorale. Per fare un esempio, mentre Butrinto è il luogo dedicato ad Anchise da Enea, che vi transita nel suo viaggio verso Occidente, le montagne alle spalle sono il luogo delle leggi orali maturate all’ombra di una società organizzata sulla famiglia. Anche molti secoli dopo, in pieno regime ottomano, questo dualismo rimane valido e l’Albania è il paese che ha sperimentato tutti gli assolutismi dell’Oriente e dell’Occidente in un paesaggio dove le norme della vita sono regolate dalla legge non scritta de Kankun. Questo dualismo, in forma diversa, arriva fino agli anni del socialismo reale, innovativo fino alla devastazione delle relazioni sociali e votato ai valori tradizionali della società agro-pastorale Nel territorio di Valona, Apollonia fu la principale colonia greca (il più importante di tutta l’Albania, con Durazzo), citata da Aristotele come esempio di ideale governo oligarchico. La tribù dei Bylis, ch viveva nella zona vicina al fiume Vjosa, viene descritta come tra lt più ellenizzate della regione balcanica e viene documentato il loro costume di consultare l’Oracolo di Delfi. Contemporaneamente anche a causa del territorio montuoso e delle valli profonde, la vita degli abitanti dei villaggi è organizzata in modo tradizionale: una economia fondata sulla pastorizia semi-nomadica, dai monti al mare un’agricoltura prevalentemente di sussistenza, praticate da picco gruppi di famiglie, con città fortificate come centri di scambio. I centri illirici abbastanza ellenizzati sono numerosi a Valona, ma i più, rilevanti furono Finiq, già ricordata, e Amantia, che sorgeva a km. Nella Baia di Valona, tra le città greche, va ricordata Orikun oltre a quelle già citate.

La dominazione romana

Dopo la sconfitta di Pirro, re d’Epiro, da parte dei Romani, le guerre successive con altri re e paesi dell’area mediterranea e la conquista dei regni illirici, iniziò il periodo (II secolo a.C.) della colonizzazione romana, caratterizzata in primo luogo dall’unificazione del territorio e dalla romanizzazione delle città. Le tribù persero la loro indipendenza e tutto il territorio oggi corrispondente andò a costituire una parte dell’Illiria, divisa in varie province. Nel 49 a.C. la costa albanese divenne il teatro della guerra civile tra Cesare e Pompeo; il confronto tra due diverse concezioni della “governance” della civiltà romana, molto più che uno scontro tra condottieri di due eserciti. Orikum e la Baia di Valona divennero uno degli approdi più importanti per le truppe di Cesare, che arrivavano da Brindisi. Qualcuno crede ancora che alcune navi di Cesare giacciano sul fondo. Nel De Bello Civili, lo stesso Cesare cita il porto dell’isola di Sasseto e racconta come al largo di questo mare, una flotta di navi vuote, partita per Brindisi per caricare legioni, fosse stata assalita dai Pompeiani, adirati per avere assistito allo sbarco di Cesare, più a sud, senza accorgersene in tempo per impedirlo. L’economia romana, globalizzata, diremmo oggi, dagli scambi su tutto il territorio dell’impero, si sviluppò prima sulla base di prodotti agricoli e in una fase successiva con i manufatti ed i prodotti minerari. Cicerone descrive Apollonia come una città importante, abitata da numerosi emigrati dalla penisola italica. Contemporaneamente, Apollonia conserva la sua identità greca ed è sede di una scuola di retorica, seconda solo a quelle di Atene e Rodi. Nel 44 a.C., quando Cesare cade sotto i colpi dei congiurati, Ottaviano è ad Apollonia. Virgilio cita Butrinto nell’Eneide come significativo luogo della mitologia e centro di rilievo.Nel I secolo a.C. venne costruita la Via Egnatia, che, attraverso due rami, uno con capo Durazzo e uno con capo Apollonia, collegava l’area all’Oriente per 395 Km. Il potere centrale nel tempo venne sempre più decentrato e le autonomie locali ebbero sempre più rilievo. Nel 395 d. C, la divisione tra Impero Romano d’Occidente e Impero romano d’Oriente colloca Valona e l’Albania nel versante orientale. Così, in quell’anno, e ancora per molti secoli, la sponda orientale dell’Adriatico, da teatro del confronto tra Oriente ed Occidente, diventa parte di Bisanzio e dell’Oriente. Una frattura con la sponda occidentale che forse solo oggi e possibile superare.

Il periodo bizantino

Dal 395 d.C. fino al 1380 Valona fa parte di Bisanzio. Anna Comnena, figlia dell’imperatore Alessio, storica delle Crociate, cita Valona come ultimo baluardo della civiltà prima della regione occidentale dominata dai barbari. Ma il lungo periodo bizantino non fu affatto tranquillo ed omogeneo. I Visigoti, gli Ostrogoti e gli Unni invasero l’Albania e soprattutto arrivarono gli Slavi, che, al contr rio degli altri popoli del Nord, si fermarono e cambiarono la struttura demografica degli attuali Balcani. Butrinto fu per lungo periodo in mano veneziana, mercanti di Venezia, di Rimini, di Ancona, di Firenze e di Ragusa vi istaurarono stabili rapporti commerciale. Nel IX secolo appare per la prima volta il nome Arber e Arberia per indicare l’etnia albanese. I rapporti con l’Occidente non furono limitati a Venezia, anche se alla Repubblica della Serenissima va ricondotta la Koinè adriatica fondata su un continuo flusso di merci, persone, fiere e rapporti tra le due sponde. Dall’Europa gli Angioini, e nella fattispecie il re Carlo I di Napoli, contribuirono alla formazione di un regno di Arberia, ma la dinamica del secondo periodo bizantino fu dominata dal confronto con i Serbi e le altre popolazioni dell’area. Nel 1190 la nobiltà albanese formò, nell’ambito della sovranità di Bisanzio, un Principato di Arberia con diritti feudali riconosciuti. Per tutto questo periodo, l’area di Valona e tutta l’odierna Albania vivono il dualismo di cui abbiamo parlato prima: da una parte la governance bizantina, aperta e debole nella dinamica degli avvenimenti storici (rapporti tra le etnie locali, rapporti con l’Occidente) e dall’altra la continuità della società agro-pastorale tradizionale con le regole tramandate.

Il confronto con gli Ottomani

Le due società si incontrarono nel periodo che va dal 1380 al 1506, caratterizzato dalla resistenza albanese alla penetrazione e alla conquista da parte degli Ottomani. La figura più rappresentativa di questo periodo è senz’altro quella di Skanderberg. Allevato dagli Ottomani e arrivato ad un alto grado militare, nel 1443, alla vigilia di una battaglia tra i Turchi e gli Ungheresi; con centinaia di soldati albanesi, egli abbandonò il campo e raggiunse la madre patria per unirsi agli altri signori locali e rivendicare l’indipendenza dall’Impero, che stava conquistando Costantinopoli. Per circa vent’anni Skanderberg tenne in scacco le spedizioni ottomane inviate a sconfiggerlo e riuscì a mantenere l’Albania indipendente, suscitando in Occidente e a Roma (alla corte papale) grandi entusiasmi. Una sua statua equestre campeggia proprio a Roma, lungo il viale che da Porta san Paolo conduce al Colosseo e all’Arco di Costantino. Gli anni di guerra furono anche anni di costruzione dell’identità propria degli Arberesh, diversa da quella delle altre etnie dell’area.

Il dominio feudale e militare ottomano

Morto Skanderberg, i suoi tentativi di liberazione del paese non ebbero alcun seguito. Dal 1506 per quattrocento lunghissimi anni, il territorio dell’attuale Albania divenne parte dell’Impero turco. Come nel periodo bizantino si distinguono molte fasi diverse ed alcune costanti storiche. Periferia dell’Impero, terra selvaggia, mondo agro-pastorale, Valona e l’Albania fornirono decine e decine di Visir e di giudici supremi all’amministrazione di Istanbul. In patria, la classe feudale, discendente in parte delle famiglie che avevano avversato la conquista ottomana, continuarono ad esercitare il potere feudale, alternando periodi di minore o maggiore autonomia dal potere centrale. Nella seconda metà del Settecento, entità quasi separate dal governo di Istanbul, i Pashalik (distretti militari) furono governati direttamente da signori albanesi: nel sud Alì Pascià Tepelene riuscì a formare un ampio dominio con capitale Joannina (oggi Grecia). Discendente da una famiglia feudale di Tepelene, nel 1784 era stato promosso al rango di Pascià a Sofia, poi era riuscito a farsi nominare Sangiacco (governatore) di Delvina, nonché Pascià delle vie di collegamento. Impadronitosi di Joannina, nel 1788 la Sacra Porta riconobbe la sua giurisdizione sul territorio occupato, ma Alì, invece di fermarsi, perseguì una indipendenza totale all’interno di un riconoscimento formale del potere di Istanbul. Intrecciò relazioni internazionali con Napoleone e con l’Inghilterra, che promisero di riconoscerlo come sovrano indipendente, ma la promessa non fu mai mantenuta. Cercò anche di riunificate il suo Pashalik con quello di Scutari, anch’esso semiindipendente.

La rinascita nazionale

Nel 1831 i Pashalik furono eliminati. Qualche anno dopo, come in tutta Europa, iniziò il periodo delle lotte per l’indipendenza su base etnico-nazionale. Cultura e cospirazione percorsero il lungo sentiero di mobilitazione, di tentativi insurrezionali, di guerriglia e di propaganda, che avrebbe portato alla costituzione di un’Albania indipendente. L’agitazione nazionalistica produsse una vera e propria rinascita della cultura albanese, culminata negli anni Settanta con la Lega di Prizren, che pretese la piena indipendenza sotto un solo governo di tutti i territori albanesi.
La nascita dell’Albania attuale non ebbe luogo fino al 1913 su un territorio, che non comprendeva il Kossovo né altri territori del Montenegro e della Macedonia, che gli albanesi giudicavano parte della loro patria. Ma l’accordo con le grandi potenze europee non permise di più e “l’integrità territoriale fu sacrificata alla piena sovranità”. L’Italia e l’Austria-Ungheria furono in qualche modo garanti per l’Albania e imbarazzanti tutori del paese appena sorto. La proclamazione dello stato d’Albania avvenne a Valona, da parte di Ismail Temali, che fu anche il primo capo di governo.

L’Albania indipendente e la conquista italiana

Tra il 1913 e il 1939, la politica albanese e la pressione internazionale portarono all’incoronazione di un re tedesco, che si defilò in meno di un anno, all’annessione italiana di Valona, durante la Prima Guerra Mondiale, al governo di F.S. Noli, come risultato del movimento democratico, alla caduta di Noli e all’emergere del più moderato e autoritario Zogu alla presidenza della Repubblica. Ancora alla proclamazione della monarchia ereditaria, con Zogu che si dichiarò discendente di Skanderberg e si fece incoronare con il nome di Zog I ed infine all’invasione italiana, all’esilio di Zog e alla Seconda Guerra Mondiale. Zog era stato filoitaliano e quindi filofascista. Mussolini aveva esteso la sua protezione ed elargito finanziamenti italiani nel Paese, ma malgrado ciò, nel 1939 l’Albania divenne protettorato italiano. La corona venne offerta dai notabili locali a Vittorio Emanuele III di Savoia. Ma durò poco, perché la tempesta della guerra travolse l’Italia, Mussolini, il re e tutta la retorica delle illusioni nazionalistiche italiane.

Il socialismo profondo e di lunga durata

Dalla lotta di liberazione contro i tedeschi e gli italiani in Yugoslavia presero il potere i combattenti comunisti. L’Albania divenne un paese del blocco sovietico, ma non era destinato a rimanere disciplinato nelle file. Ad un breve periodo di intesa con la Yugoslavia di Tito, seguì il distacco dall’intesa con l’URSS. Da questo punto in poi l’ortodossia socialista e la continuità della linea di Marx, Lenin e Stalin divenne un fattore di forte identità del socialismo albanese. Fino agli anni Sessanta la protezione di Mosca giocò un ruolo importante anche nella formazione dei quadri tecnici, che studiavano nelle Università russe. Poi Hoxha si rifiutò di avallare il revisionismo e la condanna di Stalin. Gli albanesi si unirono ai cinesi e il distacco fu violento. Alla protezione sovietica si sostituì, ovviamente con minore peso ed impatto, quella cinese. Ancora oggi si vedono jeep e biciclette cinesi in giro per le strade di Valona.

A metà degli anni Settanta fu rottura anche con la Cina. Se dietro la divisione dall’URSS qualche diplomatico occidentale aveva letto un interesse nazionalistico albanese rispetto allo slavismo balcanico, nella vicenda cinese è difficile leggere qualcosa dietro l’interruzione dei rapporti e dell’assistenza. Negli anni successivi, l’Albania divenne un paese sempre più isolato e le affermazioni di principio sempre più autoritarie. Nel 1975 il governo albanese non partecipò al meeting internazionale di Helsinki per la stesura della Nuova Carta Internazionale dei Diritti. Rimase in piedi qualche relazione sporadica con Cuba. Negli anni Ottanta Strass, il leader dei cristiano-socialisti della Baviera compì una storica visita in Albania: un tentativo di aprire relazioni tra Germania e Tirana fondato su massicci aiuti economici.

All’interno, il socialismo albanese è stato estremamente autoritario. Chi fuggiva sapeva di esporre tutta la propria famiglia a persecuzioni accanite, gli spazi di discussione erano inesistenti, anche all’interno del gruppo dirigente. L’autorità era oggetto di culto. I varchi erano minimi: captare la radio italiana, poi la Tv, qualche scappatella durante le esercitazioni nelle migliaia di bunker, che il regime aveva fatto costruire come baluardo difensivo contro un’invasione che non arrivò mai. La vita culturale era estremamente controllata dalle associazioni di stato. La redistribuzione autoritaria della ricchezza (pagamenti in natura, salari controllati) era solo una delle facce dell’onnipresente autorità. In ogni caso, però, il socialismo rappresentò un periodo di modernizzazione profonda del paese e, al tempo stesso, di conservazione della società tradizionale. L’industrializzazione fu parziale, maggiore fu l’esportazione dei prodotti agricoli; il paese fu elettrificato negli anni Sessanta, i servizi, come scuola e sanità, furono migliorati, anche se nei limiti di un paese povero. L’economia autoritaria non permise mai alla modernizzazione di superare i confini dettati dal regime. Nel 1989, alla vigilia della caduta del socialismo, circolavano un centinaio di automobili private, nessuno poteva viaggiare all’estero e non era permesso cambiare città senza approvazione. Al di là della diatriba sul capitalismo, è difficile che una società possa maturare in queste condizioni.

La transizione

Gli avvenimenti degli ultimi tredici anni sono noti. La prospettiva generale è esposta in questa guida nel capitolo sull’economia e l’emigrazione. Non ci ripeteremo. Nel 1985 Hoxha morì, gli succedette Ramiz Alia. I tentativi di riforma aprirono un dibattito sul pluralismo. Nel 1990 l’articolo di Ylli Popa Alla ricerca del tempo perduto aprì la strada ad una società politica multipartitica. Nelle prime elezioni libere (Marzo 1991), il Partito Democratico appena fondato, prese un terzo dei voti. Poi la vecchia dirigenza, di fronte ad una mobilitazione molto forte, indisse nuove elezioni nel 1992. Il PD vinse e salì Berisha al potere, con la promessa di riforme radicali. Seguì un periodo tumultuoso di mutamenti istituzionali. Nel 1997 la crisi delle piramidi sconvolse il paese e soprattutto il Sud. Valona e Saranda furono le città da cui partì la richiesta delle dimissioni di Berisha e la richiesta di nuove elezioni. Da allora governano i socialisti. Nel 2001 si sono avute le prime elezioni senza morti in campagna elettorale. Lo scontro politico, sempre duro, sembra avere ora una tendenza alla ricomposizione.