La cooperazione italiana allo sviluppo dell’Albania
Nel periodo di apertura al mondo esterno, il moribondo regime comunista firma con il governo italiano nel 1989 a Tirana un Accordo di cooperazione economica e tecnica, documento che ufficializza l’inizio delle relazioni bilaterali tra i due paesi, consolidate successivamente anche a livello politico con il Trattato di amicizia e collaborazione, siglato il 13 ottobre 1995 a Roma. L’Italia è diventata da allora il primo partner commerciale dell’Albania, con una quota superiore al 40 % dell’interscambio complessivo, il primo paese investitore ed il terzo donatore bilaterale (dopo gli Stati Uniti e la Grecia). L’imprenditoria italiana si è profondamente radicata nel mercato albanese e detiene il primato tra le presenze straniere, con circa 400 piccole e medie imprese operanti sul territorio.260 Nelle molteplici operazioni di assistenza militare in atto in Albania, l’Italia è il principale apportatore di forze, alle quali, proprio in virtù del suo riconosciuto ruolo di partner privilegiato albanese, la stessa NATO attribuisce una posizione di leadership tra i contingenti presenti nel paese.
Per quanto riguarda gli accordi in ambito atlantico, l’operazione Communication Zone West, avviata nel 1999 nell’ambito dell’operazione Joint Guardian in Kosovo, soggetta al comando della KFOR, ha lo scopo di assicurare l’efficienza e la sicurezza delle linee di comunicazione nell’impervia area dell’Albania compresa tra Kosovo e Macedonia, al fine di garantire gli spostamenti in sicurezza dei contingenti atlantici ed impedire i traffici di armi e di altre merci di contrabbando. La missione è composta da un contingente multinazionale di italiani, turchi e greci, ai quali si aggiungono in minor misura, statunitensi, francesi, polacchi e tedeschi, tutti sotto il comando italiano.
Nel 2002 la Allied Forces South, il comando NATO responsabile per l’Europa meridionale che ha sede a Bagnoli (Napoli), ha istituito un quartier generale logistico a Tirana, noto come NHQT, con il compito di offrire assistenza e sostegno al governo
albanese nell’addestramento e nell’organizzazione delle forze armate dell’Albania in vista di un suo possibile ingresso nella NATO. Tuttavia, già dal 1997, in virtù di un accordo italo-albanese nell’ambito del programma atlantico Partnership for Peace, l’Italia è impegnata nell’assistenza addestrativa e formativa dei dirigenti e dei funzionari delle forze dell’ordine e delle forze armate albanesi, ad opera di una squadra di esperti (la Delegazione Italiana di Esperti).
La collaborazione tra le forze armate e le forze dell’ordine dei due paesi si svolgono anche al di fuori di contesti e programmi internazionali attraverso accordi bilaterali. Oltre alle attività della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza direttamente sul territorio albanese, il governo italiano ha istituito due missioni, ALBIT e ALBANIA 2, la prima, per la ricostruzione dell’Accademia Aeronautica di Valona e la costruzione di un aeroporto addestrativo a Pish Poro, con la collaborazione dell’Aeronautica Militare, e la seconda, per coadiuvare nella vigilanza delle acque territoriali nazionali la guardia costiera locale al fine di contrastare il traffico degli scafisti, con la partecipazione del 28° Gruppo Navale della Marina Militare. Queste attività di cooperazione militare rientrano nel disegno diplomatico dell’Italia di fare dell’Albania un paese stabile, capace di estirpare la criminalità organizzata ed ostacolare i traffici illeciti provenienti dal Vicino Oriente, dal Caucaso e dagli stessi Balcani, e di mantenere con essa proficui rapporti di collaborazione, al fine ultimo di tutelare la propria sicurezza nazionale.
Le attività italiane di cooperazione hanno rivestito e rivestono ancora oggi un ruolo di primo piano nel processo di sviluppo dell’Albania, tant’è che dal 1991 al 2004 l’Italia ha erogato, tra aiuti bilaterali e multilaterali, ben 600 milioni di euro. Come ho già descritto nel Capitolo primo, in questo intervallo di tempo, la strategia operativa dei governi italiani è mutata in funzione dello scenario albanese e si è inevitabilmente adeguata al drammatico evolversi degli avvenimenti. Le attività di cooperazione allo sviluppo si possono riassumere in quattro fasi,
1. la prima è stata una fase d’emergenza (1991-1993), volta ad attenuare le conseguenze del collasso economico e sociale, all’indomani del crollo del regime comunista, principalmente con l’erogazione di commodities e di aiuti alimentari;
2. la seconda è stato il primo tentativo di aiuto ordinario ed è stata inaugurate nel 1992 con l’istituzione della prima Commissione Mista intergovernativa,
3. la terza è stata nuovamente d’emergenza (1997-1999), originata dalla crisi delle finanziarie piramidali, prima, e dalla crisi del Kosovo, poi. Con la Commissione Mista del 1998 sono stati indicati, per la prima volta, i settori strategici d’intervento: l’energia, i trasporti, i servizi pubblici, lo sviluppo della società civile e il supporto istituzionale.
4. la quarta, iniziata con i lavori della Commissione Mista del luglio 2000, è quella ancora in corso. In questa fase, l’Italia ha adeguato il programma di cooperazione allo sviluppo alle linee guida del Piano di Investimenti Pubblici ( PIP) predisposto dal governo albanese. Il più recente quadro negoziale di riferimento è il Protocollo di cooperazione allo sviluppo italoalbanese su base triennale (2002-2004), concluso in occasione della firma dell’Accordo di Commissione Mista nell’aprile 2002. I diversificati progetti di sviluppo, elaborati in collaborazione con le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative, sono stati sinora finanziati in virtù delle leggi 49/1987, 180/1992, 212/1992 e 84/2001. Quest’ultima normative disciplina le forme di partecipazione italiana al processo di stabilizzazione, di ricostruzione e di sviluppo dei paesi balcanici, anche al fine di coordinare gli interventi nazionali con le iniziative assunte in sede comunitaria e multilaterale. I paesi beneficiari degli interventi sono, oltre all’Albania, la Bosnia ed Erzegovina, la Bulgaria, la Croazia, la Macedonia, la Serbia, il Montenegro e la Romania. La legge n. 84/2001 prevede la creazione di due organi di orchestrazione,
· il Comitato dei ministri, presieduto dal presidente del Consiglio (o da un suo delegato) e composto dai ministri degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia, del Commercio Estero e delle Attività Produttive, e
· l’Unità tecnico-operativa, coordinata da un rappresentante speciale per le iniziative di ricostruzione dei Balcani e composta da esperti, che assiste il Comitato dei ministri e propone gli indirizzi strategici.
Le tipologie di intervento sono quattro,
· la cooperazione allo sviluppo, sotto la responsabilità del Ministero degli Affari Esteri,
· la cooperazione decentrata, affidata alle Regioni e agli Enti locali,
· la promozione delle e l’assistenza alle imprese, di competenza del Ministero delle Attività Produttive, e
· gli interventi di rilevante interesse nazionale.
L’art. 3 prevede, in particolare, l’istituzione di un Fondo per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo dei Balcani, amministrato dal MAE-MINCOMES (Ministero degli Affari Esteri-Ministero del Commercio Estero). Gli enti che hanno proposto progetti di cooperazione allo sviluppo, di cooperazione decentrata e di promozione dell’imprenditoria, hanno beneficiato nel periodo 2001 2003 del Fondo, il quale però non è stato (al momento) nuovamente finanziato. I settori strategici d’intervento sono il rafforzamento delle istituzioni e della sicurezza, il sostegno alla realizzazione delle riforme economiche e giuridiche, all’attività delle piccole e medie imprese e alla cooperazione decentrata.La vigente politica cooperativa non mira soltanto a consolidare le relazioni tra i due paesi, ma intende anche contribuire, insieme con gli altri donatori, al processo di associazione dell’Albania all’Unione europea, favorendo lo sviluppo economico e il ripristino di condizioni di stabilità nel paese e, in generale, nell’intera regione balcanica, coerentemente al Patto di Stabilità per l’Europa sudorientale.
L’Italia, l’Albania e il Corridoio VIII
Anche l’Italia è coinvolta nella realizzazione del Corridoio trans-europeo n. 8 nell’area balcanica meridionale. In questo progetto, l’Italia ha assunto, peraltro, un ruolo guida, trattandosi di un’area geopolitica nevralgica per gli interessi nazionali, in gran parte economicamente depressa e al cui sviluppo sono interessate le imprese pubbliche italiane e, in generale, l’economia del Mezzogiorno. La realizzazione del Corridoio presenta una duplice valenza strategica, come asse di trasporto vero e proprio, che pone in collegamento con l’area balcanica i porti dell’Adriatico meridionale (Bari, Brindisi e Taranto) e, quindi, le regioni del Mezzogiorno, e come strumento di integrazione economica tra queste aree geografiche, favorendo lo sviluppo economico dei paesi coinvolti.
Il Corridoio potrebbe svolgere un ruolo strategico non solo a livello regionale come via di comunicazione interna tra i mercati dei paesi balcanici, ma anche a livello continentale, mettendo in relazione i paesi dell’Adriatico orientale e del Mediterraneo con quelli che si affacciano sul Mar Nero.
L’Italia, in qualità di Leading Country dell’iniziativa, finanzia con i fondi della legge n. 84/2001 il Segretariato permanente, costituito il 18 settembre 2003 a Bari, presso la Fiera del Levante. I compiti del Segretariato sono quelli di raccogliere, esaminare ed individuare gli studi di fattibilità e i progetti infrastrutturali proposti dai paesi coinvolti, nonché di agevolare i contatti con la Commissione europea, le istituzioni finanziarie internazionali e l’imprenditoria privata per il reperimento delle necessarie risorse finanziarie. Nel mese di marzo 2006 si è tenuta, su richiesta del governo di Sofia, a Plovdiv, in Bulgaria, una Conferenza dei ministri dei Trasporti dei paesi interessati all’iniziativa, conclusasi con una dichiarazione d’intenti, che ribadisce l’importanza prioritaria della realizzazione del Corridoio VIII e l’impegno comune ad agire in tal senso.